La procrastinazione è un fenomeno comune che riguarda molte persone, caratterizzato dal rinvio di compiti o decisioni a un momento successivo, spesso a scapito del benessere personale e professionale. La procrastinazione è a volte percepita come un problema di mancanza di forza di volontà o di scarsa organizzazione. Tuttavia, procrastinare non è solo una questione di gestione del tempo, ma un funzionamento psicologico che rivela la complessità delle dinamiche interne che influenzano le scelte quotidiane. Rimandare scadenze o impegni importanti permette di evitare il rischio di sperimentare emozioni indesiderate, come ad esempio l’ansia, la frustrazione o la delusione. Così, invece di affrontare direttamente i problemi, si crea un circolo in cui il rinvio diventa un rifugio temporaneo che però alimenta una spirale di stress e sensi di colpa, rendendo ancora più difficile intraprendere l’azione desiderata. Nell'approccio psicoanalitico relazionale, la procrastinazione viene considerata come espressione dei nuclei affettivi più profondi, della regolazione degli stati emotivi e dei modelli relazionali di cui si è fatta esperienza. Comprendere le radici di questo comportamento permette di affrontarlo in modo più consapevole e di sviluppare modalità alternative per rapportarsi agli stimoli della vita.
La procrastinazione può essere considerata una strategia di regolazione dell'ansia, attuata attraverso l’evitamento dello stimolo scatenante. La regolazione emotiva si riferisce alla capacità di gestire le proprie emozioni, riportandole ad un livello di tollerabilità dopo che si sono attivate. E. Tronick (Regolazione Emotiva, Raffaello Cortina, 2008) ha dimostrato che anche i neonati, nei primi mesi di vita, mostrano segni di questa capacità. Ad esempio, quando un bambino si trova di fronte a uno stimolo troppo sollecitante, come un volto estraneo o una situazione di stress, può distogliere lo sguardo o rivolgere la testa, un comportamento che indica un tentativo di autoregolazione. Questa risposta istintiva diventa appresa ed è un modo per il bambino di mantenere un certo equilibrio emotivo e di proteggersi da sovraccarichi sensoriali. Ogni strategia di regolazione ha in origine a sua utilità. La problematicità di una modalità regolatoria si crea se, a causa di diversi fattori che riguardano le predisposizioni della persona e l’influenza dell’ambiente, essa è applicata in modo costante e non più funzionale, generando malessere.
Quando le emozioni diventano travolgenti, la procrastinazione sembra un modo efficace per avere controllo su di esse, ma a lungo andare questa strategia può diventare controproducente. Se ci troviamo ad esempio di fronte a compiti impegnativi o a scadenze pressanti, è comune avvertire un aumento dell'ansia. In questi momenti, procrastinare può sembrare un modo per alleviare temporaneamente questa pressione, permettendoci di evitare l’ansia associata al compito da svolgere. Tuttavia, questo sollievo è solo temporaneo e può portare a un circolo in cui l'ansia aumenta man mano che il termine si avvicina, alimentando ulteriormente la tendenza a rimandare. Spesso, ci si ritrova a pensare e ripensare a una situazione, cercando di pianificare ogni minimo dettaglio, un comportamento che può contribuire ad alimentare l'ansia invece di alleviarla. Questo eccesso di pensiero può inoltre esaurire le energie e ridurre la motivazione necessaria per passare all'azione, creando un ciclo che si autoalimenta.
Riconoscere la procrastinazione come una risposta all’ansia e non al compito in sé può aiutarci a sviluppare altre strategie per affrontare gli obiettivi e per gestire le emozioni coinvolte in modo più equilibrato e consapevole.
Per comprendere davvero la procrastinazione è importante esplorare le esperienze emotive più profonde che ciascuno porta con sé nella sua storia individuale e relazionale. Nel contesto terapeutico psicoanalitico relazionale, la procrastinazione viene analizzata per coglierne il significato all'interno della storia personale del paziente. Ogni individuo ha con sé un bagaglio unico di esperienze, motivazioni e reazioni emotive, e le ragioni per cui si procrastina possono variare notevolmente da persona a persona.
La procrastinazione secondo l’approccio psicoanalitico riflette un conflitto interiore complesso tra il desiderio di realizzazione personale e le vulnerabilità che spesso accompagnano l’atto di perseguire obiettivi di cambiamento significativi. Da un lato, c'è una spinta intrinseca a realizzare sogni, ambizioni, desideri, a dimostrare a sé stessi e agli altri le proprie capacità. Dall'altro, però, emerge un timore profondo di cambiare, di esporsi, di fallire o di essere giudicati, che può bloccare e portare a ritardare l'azione. Questa ambivalenza influenza la motivazione e il grado di impegno nei confronti delle proprie aspirazioni, e si manifesta in modi diversi per ognuno in base alle proprie caratteristiche di personalità e storia di vita.
Procrastinare può essere un tentativo di proteggersi da esperienze emotive dolorose. Rimandare rappresenta una strategia per evitare emozioni angoscianti, come ad esempio la paura del fallimento o, paradossalmente, il timore del successo. In questo senso, la procrastinazione è una strategia difensiva, un modo per mantenere il controllo su una situazione che è percepita interiormente come pericolosa. L’ansia del confronto con l’impegno cela l’impossibilità di affrontare paure più profonde, che coinvolgono l’intera personalità e i propri modelli relazionali interni.
Lavorare sulla procrastinazione significa, nell’approccio psicoanalitico relazionale, comprendere più globalmente le caratteristiche dell’intera personalità e i conflitti interni con cui ci si sta misurando. La procrastinazione è, ad esempio, spesso associata al perfezionismo. La persona perfezionista può sentirsi sopraffatta dalla necessità di ottenere risultati impeccabili e, di conseguenza, rimandare l'inizio di un compito per paura di non soddisfare le proprie elevate aspettative o di affrontare critiche passate. L'idea di dover eseguire un compito in modo "perfetto" può rendere difficile anche solo avviare il processo stesso. Chi ha tratti relazionali dipendenti, invece, può procrastinare per evitare di affrontare l’angoscia della separazione che la propria autonomia e responsabilizzazione comporterebbero, rimanendo così sempre dipendente dagli altri. In questo caso, la procrastinazione diventa un meccanismo difensivo che permette di rimanere in una zona di comfort, evitando l'assunzione di responsabilità e il rischio di dover affrontare il mondo da soli, impedendo tuttavia di realizzare i desideri di autoaffermazione.
Attraverso il percorso terapeutico, la persona può iniziare a dare un nome alle emozioni associate al comportamento di procrastinazione e a confrontarsi con i propri desideri e con le proprie resistenze. Questo processo di identificazione è il primo passo per esplorare le dinamiche più profonde che generano il comportamento manifesto. L'obiettivo finale del processo terapeutico è quello di trasformare il comportamento di procrastinazione in un'opportunità di maggiore conoscenza di sé e favorire una riorganizzazione interiore più globale, facilitando così un cambiamento nell’approccio alla vita e agli obiettivi personali.
Dott.ssa Francesca Callegher
Psicologa Psicoterapeuta a Pavia (PV)